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Area Clienti

G20 Napoli, manca l’accordo su riscaldamento globale e carbone

Si sono concluse le negoziazioni, durate due giorni e due notti, nel summit del G20 ospitato dall’Italia a Napoli. Il risultato è stato un documento unitario in cui, però, è mancato l’accordo su temi fondamentali come il riscaldamento globale e l’utilizzo del carbone come fonte energetica.

La conferenza appena conclusa doveva costituire un trampolino di lancio verso la tanto attesa Cop26 che è prevista per il prossimo 31 ottobre a Glasgow, in Scozia.

Le ambizioni di Stati Uniti d’America e Europa, però, sono state frustrate dalla netta opposizione di Paesi, tra cui Russia, Cina e India, che rifiutano di portare i loro impegni di contrasto al cambiamento climatico oltre gli Accordi di Parigi.

Parliamo, in particolare, dell’impegno di limitare l’aumento delle temperature medie globali a +2 gradi centigradi entro i prossimi dieci anni, mentre il nuovo accordo prevederebbe un obbiettivo ben più ambizioso: + 1,5 gradi centigradi.

Il secondo punto su cui non stato possibile trovare un accordo riguarda l’abbandono del carbone come fonte d’energia entro il 2025.

Il risultato è stato che dei 60 punti in discussione, ben 58 sono stati sottoscritti da tutti i Paesi, ma si dal caso che i due restanti siano anche i più importanti. La loro risoluzione sarà rimandata alla Cop26.

Le ragioni delle divergenze su clima e fonti fossili

Le motivazioni che spingono alcuni Paesi a rifiutare impegni ambiziosi, e necessari, nel campo della lotta al cambiamento climatico sono, naturalmente, di carattere economico.

La Russia e l’Arabia Saudita hanno economie basate sugli idrocarburi, mentre Paesi in via di sviluppo, come Cina, India e Brasile, non vogliono rinunciare all’energia a basso costo generata da fonti fossili per non rischiare di rallentare la loro crescita.

Le catastrofi naturali che stanno falcidiando il pianeta, provocando migliaia di morti, sembrano non aver scosso granché le coscienze.

Circa 200 morti in Germania a causa di un’alluvione senza precedenti, centinaia di migliaia di persone evacuate nella provincia di Henan (Cina centrale) in seguito a piogge torrenziali e, nello stesso periodo, una serie di ondate di calore (con picchi di 50-55°) che hanno innescato incendi devastanti in Nord America.

Queste sono solo alcune delle manifestazioni estreme del cambiamento climatico a cui stiamo assistendo, ma non sembrano ancora sufficienti a palesare l’urgenza di un accordo che preveda obbiettivi più ambiziosi e coraggiosi.

L’accordo firmato

Oltre alla conferma degli impegni presi nell’Accordo di Parigi, tra i punti su cui è stato trovato un accordo unanime, troviamo:

  • la decisione di aumentare gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo
  • la conferma dell’impegno finanziario da 100 miliardi di euro, già incluso nell’accordo di Parigi, e la decisione di aumentare gradualmente i contribuiti da qui al 2025
  • il riconoscimento del potenziale delle rinnovabili offshore
  • il riconoscimento della necessità di investire sulle tecnologie rinnovabili e di ridurre l’uso del metano
  • la necessità di ridurre in breve tempo la povertà energetica
  • il consenso a destinare una quota consistente dei fondi stanziati per i piani nazionali di ripresa e resilienza a favore della lotta e dell’adattamento ai cambiamenti climatici

Inoltre, alcuni paragrafi trattano anche di innovazione, smart city e mobilità sostenibile, ambiti in cui i Paesi del G20 ribadiscono la necessità di investire.

Verso il Cop26 di Glasgow

Si prevede che le emissioni di CO2 continuino a crescere anche nel 2023, cosa che rende ancora più urgenti i provvedimenti che la Cop26 del prossimo ottobre dovrebbe prendere.

Tuttavia, le prospettive di trovare un accordo definitivo sulle questioni che sono state rimandate ancora una volta, non sono buone. La negoziazione si prospetta più complessa che mai.

I Paesi in via di sviluppo, soprattutto India e Brasile, hanno un grande potere contrattuale che all’aggravarsi dell’emergenza non può che aumentare.

I Paesi che più contribuiscono alle emissioni di CO2 sono Stati Uniti e Cina, che insieme ne generano il 40% a livello globale.

Il nuovo definitivo accordo non potrà prescindere dalla sottoscrizione di tutti questi Paesi ma i punti di possibile scontro sono svariati.

Gli Stati Uniti hanno avanzato la proposta di introdurre un mix di fonti rinnovabili, nucleare e gas, ma la UE ha ormai eliminato nucleare, termovalorizzatori e gas (in funzione della transizione) dall’elenco delle fonti di energia sostenibile. Inoltre, anche la Cina e i paesi dell’Europa Orientale difficilmente rinunceranno a sfruttare i giacimenti di gas.

Altre diatribe potranno nascere sui temi dell’idrogeno verde, della carbon tax e delle tecnologie di cattura del carbonio. Ma anche sulla possibilità di costruire piccole centrali a fissione e della tanto attesa fusione nucleare, oltre che sui temi legati all’agricoltura sostenibile, alla zootecnia e alla pesca.

Ciò che possiamo affermare con certezza è che i governi dovranno avere la capacità e la disponibilità di trovare un accordo definitivo.

Il prossimo appuntamento è fissato per la conferenza delle Nazioni Unite, la già citata Cop26, che si terrà il 31 ottobre e che vedrà la partecipazione di 190 leader mondiali. Ci auguriamo che questi ultimi prendano parte alla conferenza con la sincera volontà di trovare un accordo che sarebbe storico.

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