La COP26, che si tiene allo Scottish Event Campus (SEC) di Glasgow, è iniziata oggi 31 ottobre e proseguirà fino al 12 novembre. Si tratta di un vertice molto atteso, soprattutto dopo la pubblicazione dello scorso agosto del rapporto dell’IPCC che mette in guardia sui temi ambientali. Il riscaldamento climatico, lo mostrano i dati raccolti, sta accelerando e minaccia di sconvolgere l’equilibrio del pianeta nel giro di un decennio.
Il compito delle migliaia di negoziatori e politici, rappresentanti di 200 Paesi, è quello di raggiungere finalmente accordi vincolanti e prendere decisioni coraggiose per limitare a 1.5 gradi l’aumento della temperatura media globale, ovvero l’obbiettivo già stabilito nell’Accordo di Parigi.
Le aspettative sono molto alte ma, ne giorni scorsi con il G20 in corso a Roma, è filtrato un certo pessimismo riguardo la disponibilità dei Paesi in via di sviluppo e grandi inquinatori a fissare traguardi ambiziosi.
Vediamo quali sono i temi più caldi che dovranno essere discussi nella vertice di Glasgow e quali sono le prospettive realistiche.
COP26, accordo lontano sul taglio delle emissioni di CO2
Tra i temi principali che animeranno la discussione della COP26, quello della riduzione delle emissioni di CO2 è il più importante e pressante. Alcuni studi, come quello del Climate Council, mostrano che nemmeno pesanti interventi immediati eviteranno il superamento del limite degli 1,5 gradi al 2030, ma anticipando la data per la neutralità climatica al 2040 potremmo rientrare sotto questa soglia entro alcuni anni. Riducendo di molto le emissioni di CO2, come sottolineato dal rapporto dell’IPCC, avremmo il 66% di probabilità di non sforare, ma solo a patto di non emettere più di 360 Gt di CO2 entro il 2050. Un “budget” globale che a questo ritmo si esaurirà nel 2030.
Questi dati allarmanti non sembrano scalfire le intenzioni dei Paesi in via di sviluppo, che si preoccupano di non rallentare la loro crescita.
Dei 200 Paesi solo una quarantina puntano al traguardo del 2050 (tra cui UE, USA e Giappone), dei quali la sola Germania ha anticipato al 2045. A preoccupare sono soprattutto i grandi inquinatori. La Cina – primo inquinatore mondiale – punta al 2060, l’India – terzo inquinatore – rifiuta di fissare una data sostenendo che la quantità di CO2 emessa sia più rilevante. Senza di loro trovare un accordo è impossibile.
Un altro punto di scontro è costituito dalla frequenza di aggiornamento dei piani dettagliati per il taglio delle emissioni. Aggiornarli più frequentemente permetterebbe di correggere la rotta e obbligherebbe i governi ad agire in fretta per adeguarsi. Mentre la UE spinge per fissare a 5 anni la frequenza, la Cina si oppone e chiede che la scelta spetti ai singoli Stati.
COP26, le prospettive sul superamento del carbone
Anche sul fronte del carbone l’accordo sembra un’utopia anche in questo vertice di Glasgow. Nei due recenti incontri, il G7 e il G20, non è stato possibile siglare un accordo vincolante. Questo a causa dell’ostruzionismo di Paesi che fanno ancora abbondantemente affidamento sul carbone come principale fonte d’energia, tra i quali Australia, Cina e India. Le pressioni della COP26 potrebbero non bastare e il risultato sarebbe un doloroso fallimento o, più probabilmente, l’ennesimo pericoloso rinvio.
Il nodo della finanza climatica
Nella COP15 di Copenhagen del 2009, i Paesi più avanzati si erano impegnati a sostenere i Paesi poveri contro il cambiamento climatico. Dei 100 miliardi all’anno previsti ad oggi ne sono stati stanziati solo 80. Questo è uno dei punti controversi in discussione nella COP26. I Paesi svantaggiati sottolineano che la responsabilità del riscaldamento climatico è dei Paesi ricchi che hanno inquinato a partire dalla Prima Rivoluzione Industriale (metà del 1700). E non hanno torto: al livello storico, la UE ha contribuito al 22% delle emissioni e gli USA al 20%, mentre la Cina è all’11% e Brasile e Indonesia sono al 5% e il 4%.
Per questa ingiustizia, i Paesi svantaggiati chiedono ben di più dello stanziamento di 100 miliardi già deciso nel 2009, in modo da scongiurare un rallentamento della crescita delle loro economie.
Ottimismo su emissioni di metano e mercato del carbonio
Buone notizie potrebbero arrivare dalla discussione sulle emissioni di metano e sul creazione di un mercato del carbonio globale.
Com’è noto, il metano è di gran lunga più impattante della CO2 sull’effetto serra e quindi sul cambiamento climatico. Ha, infatti, un potere climalterante 80 volte maggiore.
La campagna lanciata dall’Unione Europea con gli Stati Uniti sta raccogliendo molto adesioni da parte dei Paesi: l’obbiettivo è tagliare del 30% le emissioni di CH4 entro il 2030.
Sul fronte del mercato del carbonio, invece, mancherebbe sola la definizione di alcuni dettagli contenuti nell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi. Ci si augura, però, che i Paesi superino il meccanismo per cui pagando di più sia permesso inquinare di più e che, quindi, vengano fissati limiti alle emissioni e introdurre sistemi in grado di ridurle.
Il vertice è appena iniziato e tutto è ancora possibile, ma le premesse non infondono grande ottimismo. Il rischio dell’ennesimo buco nell’acqua è realistico.