Il GNL è una delle strade che il governo italiano sta percorrendo per ridurre la nostra dipendenza energetica dal gas russo.
Come abbiamo spiegato in un recente articolo dedicato alle alternative all’importazione di gas dalla Russia di Putin, in quanto a consumi l’Italia in Europa è seconda solamente alla Germania, che però possiede una popolazione 20 milioni di abitanti in più. Nella produzione di elettricità, inoltre, deteniamo addirittura il primato europeo di energia generata utilizzando il metano, con il 50% del totale. E da dove proviene tutto questo gas? Il 40% del fabbisogno di gas naturale del nostro Paese è soddisfatto proprio dalla Russia di Putin.
Per queste ragioni siamo uno dei Paesi maggiormente esposti all’attuale crisi energetica che ha mandato alle stelle le bollette.
Affrancarsi da questa dipendenza, che ci rende di fatto finanziatori di una guerra, è una priorità del Governo ma le proposte avanzate sono discutibili. Si è parlato di nucleare e persino di un ritorno al carbone, ma in questo articolo vi vogliamo parlare del gas naturale liquefatto o GNL e dei cosiddetti rigassificatori.
Cos’è il gas naturale liquefatto (GNL)
Il GNL è una miscela di idrocarburi costituita in gran parte da metano, con una percentuale tra il 90 il 99%, e da altri gas, etano, propano e butano, in quantità minori. Attraverso un processo di liquefazione, in cui viene raffreddato fino a -162 gradi centigradi, il gas diventa liquido e riduce il proprio volume di circa 600 volte. In queste condizioni può quindi essere trasportato all’interno di serbatoio o immesso nei metanodotti.
L’Italia importa già GNL dall’estero, navi metaniere arrivano al largo delle coste italiane da vari Paesi, tra cui Nigeria, Qatar, Algeria e Stati Uniti, trasportando circa 130.000 metri cubi di gas ognuna. Un enorme volume di gas liquido che deve essere riportato allo stato gassoso. A questo punto interviene un’infrastruttura fondamentale nel processo: il rigassificatore.
I rigassificatori: il GNL deve tornare gassoso
I rigassificatori sono enormi infrastrutture che trasformano il GNL da liquido a gassoso per poi immetterlo nella rete nazionale. In Italia ne abbiamo tre: uno onshore (sulla terra ferma) a Panigaglia in provincia di La Spezia e due offshore (al largo) a Livorno e a Porto Viro in provincia di Rovigo.
Navi metaniere con circa 130.000 metri cubi di gas ognuna – vale la pena di ripeterlo – si avvicinano moltissimo alle coste per trasferire il loro carico ai rigassificatori. Il pericolo rappresentato da questo processo è evidente. Cosa accadrebbe nel caso in cui una metaniera subisse un incidente?
Una fuoriuscita di gas genererebbe una nube che alla prima scintilla provocherebbe un’esplosione apocalittica. Inoltre, come fa notare Nicola Armaroli (dirigente del CNR) nell’intervista che potete vedere qui sotto, dal punto di vista ambientale la scelta di importare più GNL dagli USA è disastrosa.
La scelta potenzialmente disastrosa del governo italiano
I rischi legati ai rigassificatori e all’impatto ambientale degli stessi sembra essere ignorato dal governo italiano. Recentemente, il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha dichiarato a Rai3 l’intenzione di aumentare le importazioni di GNL e investire a breve in un nuovo impianto di rigassificazione (galleggiante), oltre a incrementare l’efficienza degli impianti esistenti. Inoltre, il ministro ha parlato di costruire altre infrastrutture nei prossimi due anni.
L’obbiettivo è rimpiazzare circa 15-16 miliardi di metri cubi di gas russo con nuovi fornitori entro la primavera inoltrata e raggiungere l’indipendenza energetica entro 24-30 mesi.
Il rischio, tuttavia, appare davvero inaccettabile, soprattutto se si considera la grandissima potenzialità delle rinnovabili in Italia. Lo abbiamo spiegato in questo articolo, sul nostro territorio sono pronti progetti di energie rinnovabili per 60 GW (solo un terzo del totale dei progetti fermi) ma la burocrazia e le titubanze della popolazione li bloccano.
La soluzione è guardare al futuro: transizione energetica!